ROMA – Impossibile che Life on Mars non vi abbia suscitato una qualche emozione. Per non parlare di Heroes, struggente. E Rebel, Rebel?
Anche qui ci sono pochissime probabilità che non l’abbiate ballata almeno una volta, che siate coetanei di David Bowie o molto, molto più giovani.
David Bowie è morto nella notte tra domenica 10 e lunedì 11 gennaio. Aveva appena compiuto 69 anni e si è arreso dopo una lunga lotta contro il cancro. Solo due giorni fa, l’8 gennaio, in coincidenza con il suo compleanno era uscito l’ultimo album del musicista, Blackstar. Contemporaneamente era uscito anche il nuovo video, Lazarus, in cui il Duca Bianco, già pesantemente segnato dalla malattia, appare come l’amico di Gesù che avvolto dalle bende risorge dalla morte. Difficile, quasi impossibile a questo punto, non vedere nel brano una sorta di saluto e di testamento dell’artista.
“Dopo 18 mesi di lotta contro il cancro se ne è andato serenamente circondato dalla sua famiglia”, si legge nel profilo twitter ufficiale di David Bowie. Con la morte di David Bowie la musica rock perde una delle sue colonne. Con oltre mezzo secolo di carriera, Bowie ha segnato la storia della musica e l’immaginario collettivo degli ultimi 50 anni. Dal folk acustico all’elettronica, passando attraverso il glam rock, il soul e il krautrock, David Bowie ha lasciato tracce che hanno influenzato profondamente decine di artisti.
Claudio Fabretti su Onda Rock condensa in un breve ritratto il genio camaleontico di Bowie:
“David Bowie, ovvero uno, nessuno e centomila. Quarant’anni di carriera all’insegna delle metamorfosi, dell’incessante ansia di percorrere e precorrere i tempi: “Time may change me, but I can’t trace time” (“Changes”, 1971) è da sempre il suo credo. Un genio mutante, dunque. Ma il trasformismo è solo la più appariscente tra le arti di questo indecifrabile dandy, incarnazione di tutte le fascinazioni e contraddizioni del rock e, in definitiva, della stessa società occidentale. Nessuno come lui ha saputo mettere a nudo i cliché della stardom, il rapporto morboso, ma anche ipocrita, tra idoli e fan, il falso mito della sincerità del rocker, l’assurdità della pretesa distinzione tra arte e commercio. Bowie è stato anche uno dei primissimi musicisti a concepire il rock come “arte globale” (pop-art?), aprendolo alle contaminazioni con il teatro, il music-hall, il mimo, la danza, il cinema, il fumetto, le arti visive. Con lui scompare ogni confine tra cultura “alta” e “bassa”. Perché – secondo una sua stessa felice definizione – “è insieme Nijinsky e Woolworth”. E’ grazie ai suoi show che il palcoscenico del rock si è vestito di scenografie apocalittiche, di un’estetica decadente e futurista al contempo, retaggio di filosofie letterarie e cinematografiche, ma anche dell’arte di strada dei mimi e dei clown. E in ambito musicale la sua impronta è stata fondamentale nell’evoluzione di generi disparati come glam-rock, punk, new wave, synth-pop, dark-gothic, neo-soul, dance, per stessa ammissione di molti dei loro esponenti di punta”.
Ecco le 10 canzoni più rappresentative, più famose del grande David Bowie morto il 10 gennaio a New York per un cancro.
Heroes:
Life on Mars:
Rebel Rebel:
Space Oddity:
Starman:
Under Pressure (The Queen&David Bowie):
Ziggy Stardust:
Ashes to Ashes:
China Girl:
Thursday’s Child: