Antifascismo e 25 aprile, bandiera di una sinistra povera di temi, copre il vero pericolo di Meloni

di Marco Benedetto
Pubblicato il 28 Aprile 2024 - 07:49
Antifascismo e 25 aprile, bandiera di una sinistra povera di temi, copre il vero pericolo di Meloni

La gag di Giorgia Meloni

Antifascismo e 25 aprile, la polemica segnala la povertà di temi di cui dispone la sinistra italiana e copre il vero pericolo che i discendenti dì Mussolini, Farinacci, Pavolini rappresentano per la democrazia italiana.

Il tentativo di Giorgia Meloni di fare eleggere direttamente dal popolo il primo ministro è un fatto talmente eversivo che dovrebbe provocare una violenta reazione non solo da parte della sinistra ma anche da parte dei due alleati di FdI nella maggioranza attuale, Lega e Forza Italia, che spostano il peso di Meloni verso il 50% e che la stessa Meloni vorrebbe esorcizzare.
Il fascismo è una idea di un secolo fa, morto 80 anni fa, sepolto dalla trasformazione dell’Italia nel dopoguerra. Allora le donne non avevano diritto di voto, i figli dei poveri andavano a lavorare dopo le elementari, gli italiani erano 40 milioni. Otto milioni di baionette, nel senso che il nostro esercito non disponeva di molte più armi, proclamava il Duce che poi invocava una Italia “proletaria e fascista”.
Oggi siamo 60 milioni e una delle prime potenze industriali del mondo.
Per quanto ricordo io, nato nel 1945 figlio di una famiglia di bassissima borghesia (padre barbiere, madre casalinga) a contatto con persone di vari livelli sociali fra quartiere, scuola, lavoro, gli italiani non sono mai stati ne fascisti ne antifascisti.
Hanno goduto con distacco delle relativamente migliori condizioni di vita garantite dal fascismo (i figli dei poveri arrivarono alla Università) sull’onda del boom postbellico mondiale.
Hanno goduto con distacco e poi ingratitudine dello sviluppo e del benessere garantito dal mezzo secolo di regime democristiano.
Hanno anche vissuto con sollievo la fine delle ridicole esibizioni fasciste che volevano inglobare oltre agli ardenti camerati anche il resto dei cittadini.
La guerra l’hanno vinta gli americani. Difficile definire il peso dei partigiani.
Inizialmente la Resistenza fu un moto spontaneo di indignazione, seguito alla brutale occupazione tedesca dopo l’8 settembre, da parte di militari traditi dallo stato monarchico (ma cosa potevano fare Vittorio Emanuele e Badoglio se non fuggire davanti alle tante divisioni tedesche che ci occupavano? Il martirio, come toccò alla figlia del re, Mafalda, avrebbe lustrato la loro immagine ma l’Italia sarebbe stata ancora più allo sbando), di giovani che non volevano combattere a fianco dei tedeschi nell’esercito della Repubblica di Salo ne finire deportati in Germania come accadde ai miei cugini. Erano monarchici, socialisti, azionisti, democristiani, comunisti.
Via via che i vecchi partiti uscivano dai sepolcri, essi misero le mani sulle omologhe componenti della Resistenza. I comunisti furono i più bravi.
Dal punto di vista ideologico avevano un vantaggio. Proponevano una rivoluzione sociale e economica che aveva una notevole ragione a quei tempi e una forte attrazione per i giovani sempre.
Per nostra fortuna gli accordi di Yalta fecero cadere l’Italia nella sfera americana e questo ci ha garantito 80 anni di libertà e benessere.
Quando Palmiro Togliatti si allineò al nuovo ordine internazionale, un po’ per disciplina e credo un po’ anche per amor di patria (la sua amnistia dei crimini fascisti ci ha evitato di finire come l’Iraq), non tutti furono felici. Hai rischiato la pelle per 20 mesi per fare la rivoluzione e ora il Partito ti dice che abbiamo scherzato. È dura.
Anni fa conobbi un portuale genovese ex partigiano che visse due anni nella pampa argentina per smaltire la delusione.
L’amaro della Resistenza tradita riemerse vent’anni dopo, sulla spinta della rivolta sessantottina. Vecchi capi partigiani ispirarono nuovi rivoluzionari. Fu una delle componenti del terrorismo degli anni ‘70.
Per una ventina d’anni l’anti fascismo rimase in sordina. La retorica nazionale puntava sugli eccidi tedeschi. Taviani alla Benedicta è indimenticabile. Ma Saragat, presidente della Repubblica a fine anni ‘60
chiudeva i suoi discorsi con un sonoro “Viva l’Italia, viva la Repubblica”. Di fascismo e antifascismo lui, espatriato e resistente, non parlava.
Comincio Sandro Pertini, eroe dell’antifascismo, carcerato e confinato da Mussolini prima di essere gran capo partigiano e presidente della Repubblica, a usare il tema.
Per attrazione, negli anni ‘70 non c’era direttore di giornale che, insediandosi, non si proclamasse “laico, democratico, antifascista”.
Lo slogan passò di moda, prevaleva l’arco costituzionale, che includeva tutti i partiti tranne i post fascisti del Msi.
Quando Berlusconi, con una mossa geniale quanto cinica, fece emergere i fascisti dalle fogne, non ci fu tempo di indignarsi. Gianfranco Fini, quello della casa di Monaco, si ribellò. Aveva fiutato un’opa di Berlusconi su An, evoluzione post post fascista che incorporava reduci socialisti. E Fini divenne un eroe della guerra a Berlusconi.
In tutto questo l’area post fascista si aggirava attorno al 7 per cento. Le raffiche di delusione rovesciate sugli italiani da governi tecnici, Pd, grillini hanno spinto gli elettori verso l’ultima speranza rappresentata dagli unici che, fino al 2022, non avevano mai guidato un governo, nel frattempo evoluti da An a Fratelli d’Italia.
Il senso di disperazione che obnubila gli italiani ingrati comincia a erodere anche le speranze riposte nel partito di Meloni.
Lo si vede dai recenti risultati elettorali e dai continui sondaggi.
Cresce invece Forza Italia. Una volta occupava il posto dì FdI, ora le parti si sono invertite: ma quanto durerà?
Gli italiani non sono antifascisti ma nemmeno fascisti, sono più di centro che di sinistra. I valori guida del Pd sono valori borghesi.
L’ Italia proletaria non è fascista e nemmeno comunista, è democristiana (poi c’è l’Italia sotto proletaria grillina, ma quella è radicata nel Sud e nel Nord depresso come la periferia di Genova).
Giorgia Meloni, che mastica pane e politica dalla adolescenza come Bill Clinton, è una politica più che abile come lo è l’ex presidente americano.
Ed è consapevole che il suo potere non si regge su una maggioranza ma su una coalizione di cui è maggioranza: Lega più Forza Italia uniti fanno malcontati un bel 17 per cento contro il suo 30 ora sceso al 27.
Allora cosa escogita l’astuta e anche un po’ rozza figlia
Mi faccio eleggere direttamente dal popolo, poi voi fate come volete, a me m’arimbarza.
Eversione pura che stravolge la gerarchia dei sistema, democratico e anche monarchico. Funzionava così nell’Unione Sovietica, ma non nelle grandi democrazie occidentali cui si ispirò l’Italia allora antifascista nei suoi leader, da De Gasperi a Togliatti.
In USA è il presidente a essere eletto e con una bilancia di poteri di cui leggiamo in questi giorni. In Francia è lo stesso, dopo la riforma di destra di De Gaulle. In Francia è poi il presidente che sceglie il capo del governo.
Davanti a questo scempio, dovrebbero scendere in piazza tutti, la sinistra perché rischia di perdere la sua ragione di essere, Lega e Forza Italia perché sarebbero svuotate di ogni peso politico. C’è da sperare che Salvini si ravveda e non svenda il futuro della democrazia in cambio di una autonomia di poca utilità concreta.
Invece siamo persi dietro slogan vecchi di 80anni.
L’Italia cammina e rischia di andare a sbattere.