Papa Giovanni Paolo e Emanuela Orlandi nel libro della moglie di Ali Agca

di Pino Nicotri
Pubblicato il 21 Aprile 2024 - 12:04| Aggiornato il 22 Aprile 2024
Papa Giovanni Paolo e Emanuela Orlandi nel libro della moglie di Ali Agca

Elena Rossi racconta: Papa Giovanni Paolo e Emanuela Orlandi

Papa Giovanni Paolo II nei ricordi del suo attentatore, Ali Agca, Emanuela Orlandi e i Lupi grigi, Solidarnosc e Sandro Pertini: c’è tutto un pezzo di storia d’Italia nel libro scritto da Elena Rossi, la moglie italiana.

Si chiama Elena Rossi, nata a Ravenna il 13 luglio 1967. Ha due lauree, una in scienze politiche conseguita a Bologna (1993), e una in filosofia a Roma Tre (2003). Nel 2015 ha sposato Alì Mehmet Agca, il turco condannato all’ergastolo per avere sparato nel 1981 a papa Wojtyla. Perché ha deciso di conoscerlo, come lo ha conosciuto e perché ha voluto sposarlo ce lo ha già raccontato l’11 giugno dell’anno scorso.

Ora ha scritto un libro, inviato ad alcuni editori, col quale racconta come sono andate “davvero” le cose per quanto riguarda l’attentato di suo marito a Papa Wojtyla, la pista “interna al Vaticano”, la “pista bulgara” varata per colpire l’Unione Sovietica e il comunismo, all’epoca dominanti nella natia Polonia di Wojtyla, e le asserite connessioni tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori e la scarcerazione di Agca condannato all’ergastolo per l’attentato. 

DOMANDA – Perché ha voluto scrivere questo libro? 
 
RISPOSTA – Per raccontare la verità sull’attentato al Papa una volta per tutte. Ogni volta che sento o che leggo qualcosa sull’argomento, trovo un’infinità di errori, inesattezze, menzogne proferite in buona o malafede, e questo mi dà piuttosto fastidio, allora ho deciso di porvi rimedio! Mio marito, da parte sua, ha contribuito al caos, perché dopo essere uscito dal carcere turco ha fornito versioni diverse circa i mandanti.
Una volta ha detto e scritto che il mandante era il cardinale Agostino Casaroli, riallacciandosi alla grande menzogna della “pista interna al Vaticano ” tanto cara al giudice Rosario Priore, titolare della terza inchiesta sull’attentato al Papa, durata tredici anni e conclusasi ovviamente nel nulla. Poi ha ripreso la vecchia bufala dell’Unione Sovietica, pezzo forte della seconda inchiesta, condotta dal giudice Ilario Martella, che sfociò nel “processo del secolo” del 1985, anch’esso terminato con l’inevitabile assoluzione di tutti gli imputati.
Mio marito ha pensato anche di mettere in mezzo Khomeyni e di tanto in tanto ha poi ripescato gli immancabili Lupi Grigi che con l’attentato del 13 maggio 1981 non c’entravano in realtà proprio nulla. Lo ha fatto principalmente in virtù dell’esigenza psicologica di alimentare il mistero intorno alla propria vicenda. Si diverte così! Con la famiglia invece sta normale e ha sempre raccontato la medesima storia senza fronzoli aggiunti.
 
D – Quante pagine ha e a quali editori lo ha spedito? Quanto tempo fa?
 
R – Circa 300 pagine. Tre diversi editori lo stanno esaminando da quasi due mesi. Ho già ricevuto apprezzamenti positivi per il lavoro svolto, ma ho anche potuto percepire una certa preoccupazione per eventuali conseguenze penali. Ho detto quello che dovevo dire e fatto i nomi che dovevo fare. Nomi di personaggi importanti ancora in vita… ho raccontato una verità scomoda. Speriamo che il coraggio prevalga, in fondo i fatti parlano da soli!
 
D – Quanti capitoli ha e di cosa parla ognuno?
 
R – Il libro é composto di due parti. Nella prima mi sono concentrata sull’attentato al Papa, su ciò che era avvenuto prima e su ciò che é successo dopo. Nella seconda mi sono occupata della vicenda di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi. Ho iniziato ricostruendo gli anni giovanili di Ağca e la sua militanza nel movimento degli Idealisti turchi di destra, meglio noti in Italia come Lupi Grigi.
Ho parlato dell’omicidio del giornalista Abdi Ipekci, dell’arresto di Ağca nel 1979 e della sua fuga dal carcere turco di Kartal Maltepe. Ho quindi ripercorso le varie tappe del viaggio che dalla Turchia lo ha condotto a Piazza San Pietro, soffermandomi in particolare su di un episodio poco noto: una duplice rapina in banca che Ali Ağca ha compiuto a Vienna, insieme a tre amici Lupi Grigi, il 30 marzo 1981, meno di due mesi prima dell’attentato, per autofinanziarsi.
Ho quindi affrontato il tema centrale dell’attentato del 13 maggio 1981, cercando di chiarire le ragioni ideologiche e soprattutto psicologiche che spinsero mio marito a quel tragico gesto. L’unico mandante di Ağca è da ricercare nei suoi demoni interiori e forse anche nel suo destino.
 
D – Parla ovviamente anche della cosidetta “pista bulgara”?
 
R – Sì. Ovviamente. Un’ampia parte del lavoro riguarda la famosa pista bulgaro-sovietica, totalmente falsa e interamente suggerita al detenuto Ağca. Ho ricostruito esattamente i retroscena della seconda istruttoria, sfociata nel “processo del secolo “, cercando di focalizzare l’attenzione anche sul bulgaro Sergey Ivanov Antonov, con il preciso intento di rendergli un po’ di giustizia! Venne accusato e messo in carcere ingiustamente. Non c’entrava nulla con il fattaccio di piazza San Pietro e non aveva mai conosciuto Ağca prima dell’attentato!
Ho dedicato poi un ampio spazio al secondo processo per l’attentato al Papa, perché mi sono resa conto che il pubblico, giornalisti e scrittori inclusi, hanno una scarsa conoscenza delle carte processuali, e per questo tanti equivoci, ampiamente sconfessati nel corso della fase dibattimentale, continuano a comparire su libri e giornali. Allora, con pazienza, ho ascoltato tutte le udienze, reperibili su Radio Radicale, e ne ho fedelmente trascritto le parti più importanti, commentandole. Penso che questo potrà agevolare il lettore interessato a vedere chiaro in questa storia. 
 
D – E il presunto attentato al leader sindacale e politico polacco anticomunista Lech Walesa?
 
R – Mi sono poi occupata del mai progettato attentato a Lech Walesa, il capo del sindacato Solidarność, l’alter ego di Papa Wojtla in Polonia. Anche in questo caso, Ali Ağca venne imbeccato su tutta la linea! Né i bulgari né Luigino Scricciolo né nessun altro aveva mai progettato di assassinare il sindacalista di Danzica! Alcuni capitoli sono dedicati a Giovanni Paolo II, al suo impegno politico contro il comunismo in tutto il mondo e in particolare nella sua natia Polonia e nell’Europa dell’Est.
In questo contesto ho dovuto inevitabilmente occuparmi anche dell’omicidio di Roberto Calvi e del crack del Banco Ambrosiano dato che Papa Wojtyla e il suo fedele Marcinkus, capo dello Ior, inviavano fiumi di denaro in Polonia e a diversi gruppi anticomunisti sparsi per il mondo, proprio attraverso l’Ambrosiano e le sue consociate estere. Ho inoltre preso in esame la questione non troppo nota degli stretti rapporti fra il Papa polacco, Ronald Reagan, suo principale alleato nella loro comune crociata anticomunista, e la CIA, all’epoca guidata dal cattolicissimo Bill Casey.

Ho dedicato il capitolo 22 agli incontri fra Ağca e il giudice Carlo Palermo nel febbraio 1983. L’ex magistrato interrogò Ağca due volte, così ebbe modo di rendersi conto personalmente che il giovane detenuto turco era stato certamente imbeccato dopo il suo arresto. 

Ho chiuso la prima parte con un ampio capitolo dedicato alla terza inchiesta condotta dal giudice Rosario Priore, lo stesso che, insieme a Imposimato, si era occupato del finto attento a Lech Walesa. Ci sono molti aspetti poco esplorati che ho cercato di mettere a fuoco.

D – Come ha messo insieme le cose che ha raccontato, cioè la versione finalmente vera di tanti episodi?

R – In questo lavoro, mi sono avvalsa della testimonianza di mio marito che ho sottoposto a veri e propri interrogatori a ogni ora del giorno e della notte. Ho inoltre avuto modo di conversare a lungo con Yalcın Özbey, altro “testimone” imbeccato quasi quanto Ağca e che non a caso fu anche l’unico a confermare, almeno parzialmente, la sua versione antibulgara al secondo processo. Ho poi incontrato la figlia di Abdullah Çatlı, Gökçen, e due amici di Oral Çelik.

Tutti mi hanno confermato senza esitazione la versione di Ağca: i Lupi Grigi non c’entrano niente né con l’attentato al Papa né con il rapimento di Emanuela Orlandi. Ağca agì di sua iniziativa senza informare minimamente i suoi amici delle proprie intenzioni poiché temeva che avrebbero potuto impedirgli di compiere un’azione tanto grave ed eclatante.

D – Questo per quanto riguarda la prima parte del suo libro. E la seconda parte?

R – La seconda parte riguarda il giallo della scomparsa di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi. Innanzitutto ho provveduto a smontare radicalmente la pista del terrorismo internazionale per il sequestro di entrambe le ragazze, l’unica davvero seguita dagli inquirenti fino al 1997, evidenziando come gli ideatori della falsa pista bulgara fossero anche gli artefici dell’altrettanto falsa pista internazionale.

Ho raccontato come, mano a mano che arrivavano le telefonate e i messaggi dei rapitori o presunti tali, Ali Ağca venisse informato, a volte dal suo avvocato, a volte da altri, spesso anche in anticipo, del significato e delle finalità dei loro contenuti.

Quello che ho riferito coincide con quanto é stato raccontato ad Ali Ağca in carcere da figure sempre molto istituzionali, che si tratti della verità o meno, noi non possiamo saperlo con certezza perché potrebbero avergli mentito al preciso scopo di ottenere la sua collaborazione contro i Bulgari. In ogni caso, ritengo sia un punto imprescindibile da cui partire per fare chiarezza nella vicenda. 

D – Sarebbe ora! Io me ne occupo dal 2001, cioè da 24 anni. C’è da diventare matti.

R – Ho inoltre dedicato un certo spazio a un fatto che reputo importante: la ritrattazione di Ağca del 28 giugno 1983. Mio marito non ritrattò spontaneamente, bensì su preciso invito dei suoi suggeritori. Gli avevano fornito informazioni sbagliate sulla casa e sulla famiglia di Antonov, errori scoperti dal puntiglioso lavoro degli avvocati della difesa del bulgaro, Giuseppe Consolo e Antonio Larussa.

In pratica gli avevano suggerito male e poi gli fecero smentire i particolari sbagliati. Ma il punto è capire perché scelsero proprio il 28 giugno, appena sei giorni dopo la scomparsa di Emanuela, per poi sostenere a gran voce che Ağca aveva ritrattato per effetto del sequestro Orlandi.

Ho dedicato molta attenzione al caso di Mirella Gregori, sempre trascurato e messo in secondo piano rispetto a quello di Emanuela che invece, secondo noi, rappresenta la parte più importante dell’intera vicenda, la cittadina italiana, la vera sequestrata! Su di lei ho raccontato un particolare veramente grave e inedito del quale mio marito non aveva mai parlato in 40 anni, andando anche contro la sua volontà poiché non desidera altri guai con la giustizia italiana e talvolta mi pare si trovi ancora in uno stato di soggezione rispetto a certi personaggi del suo passato. Ma dopo tanto tempo, ciò che sappiamo dobbiamo dirlo. É un dovere morale!

D – Non le chiedo qual è questo particolare che ha definito particolarmente grave, immagino voglia riservarlo al libro. Quali sono i suoi punti forti? E quali le sue novità? 

R – Il punto forte e veramente inedito ritengo consista nella descrizione dell’incontro riservato che Ali Ağca ebbe con Karol Wojtla nell’aprile 1984. Ali non ne aveva mai parlato perché vincolato dalla promessa fatta al Papa di custodire il segreto a vita. In quell’occasione Wojtyla lo aveva informato circa i contenuti del Terzo mistero di Fatima.

D) – Il suo libro si limita a raccontare Agca, e magari la sua storia con lui, da come lo ha conosciuto fino a sposarlo, o fa chiarezza riguardo l’attentato al papa polacco Karol Wojtyla?

Per anni si è  voluto credere e far credere che Alì avesse sparato al papa per conto di Mosca,  decisa a porre fine alla sua influenza nella lotta della natia Polonia contro la sudditanza da Mosca e contro il regime comunista. Wojtyla finanziava con grandi cifre anche il sindacato ribelle Solidarnosh, nato per iniziativa del sindacalista cattolicissimo Lech Walesa.

R – Della mia storia con Ali non ne parlo quasi per nulla. Come ho detto, l’argomento è l’attentato al Papa e il sequestro Gregori-Orlandi. 

Si la pista bulgaro-sovietica ha tenuto banco a lungo e ancora qualcuno ci crede, ma è totalmente falsa. Ali Ağca venne imbeccato completamente in carcere e in cambio dell’accusa ai Servizi bulgari gli venne offerta la liberazione in due anni per mezzo della grazia presidenziale che Pertini avrebbe dovuto concedergli. Il presidente-partigiano tuttavia era un tipo tosto e non si piegò a quel gioco losco. La moglie, la signora Carla, non era da meno, infatti arrivò a impedire a Papa Giovanni Paolo II di fare visita al marito sul letto di morte! 

Fine della prima parte, il seguito qui.